Nessun dorma: Regio e dintorni.

Paolo Giovine
13 min readJun 2, 2020

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Dal settembre 2018, per una serie di casualità, ho iniziato ad occuparmi del Teatro Regio di Torino, nell’ambito di un progetto più ampio destinato a favorire l’utilizzo della tecnologia nelle istituzioni culturali; mi era già capitato di studiare il tema per un precedente lavoro, che riguardava però un ente lirico inglese, ed ho quindi diligentemente dovuto approfondire la situazione italiana.

LA LIRICA IN ITALIA

Una delle prime cose che ho letto, sul Corriere della Sera, è stata questa indagine sullo stato di salute degli enti lirici italiani, che riprendo di seguito usando l’efficace corredo infografico.

La contribuzione statale al mondo della lirica è fondamentale, senza non esisterebbe forse nessuno dei teatri italiani; all’estero funziona allo stesso modo, anzi in alcuni casi il controllo pubblico è diretto e molto più importante. L’Italia è la “patria della lirica”, ha ben 14 enti lirici che finanzia così (l’anno in questione è il 2018, mancano fondi regionali, comunali ed altre sovvenzioni sempre di provenienza pubblica).

Fonte: Corriere della Sera, https://bit.ly/36QIkit

Nonostante la mano pubblica, gli enti lirici da anni versano in condizioni finanziarie disastrose: la tabella che riporto fa entrare velocemente nel merito del problema, quantificando l’indebitamento delle 14 fondazioni liriche italiane, con i casi più preoccupanti in evidenza.

Fonte: Corriere della Sera, https://bit.ly/36QIkit

La crisi viene da lontano: già nel 2013 il Ministero decideva di intervenire con il “Decreto Valore Cultura”:

Allo scopo di fronteggiare l’ acuirsi della crisi di settore, l’art. 11 del decreto-legge n. 91/2013 (convertito in legge 7 ottobre 2013, n.112) ha dettato disposizioni per il risanamento delle fondazioni gravate da situazioni di particolare difficoltà economico-patrimoniale.
Il decreto ha previsto la nomina di un commissario straordinario del Governo cui le fondazioni lirico-sinfoniche debbano presentare (entro il 9 gennaio 2014) un piano di risanamento che assicuri il bilancio entro i tre successivi esercizi finanziari. Tra i contenuti inderogabili del piano è prevista, in particolare, la riduzione della dotazione organica del personale tecnico e amministrativo, nonché la razionalizzazione del personale artistico, previo accordo con le associazioni sindacali. Il decreto-legge prevede inoltre la concessione finanziamenti, a valere su un istituito Fondo di rotazione, e anticipazioni in favore delle fondazioni che versano in una situazione di carenza di liquidità tale da pregiudicarne anche la gestione ordinaria. In materia di governance, innovando quanto stabilito dalla legge n.100/2010, il decreto ha previsto che le fondazioni lirico-sinfoniche adeguino i propri statuti entro il 30 giugno 2014, pena l’applicazione del regime di amministrazione straordinaria. Gli Statuti preverranno un Sovrintendente di nomina ministeriale con non più di 7 componenti per i Consigli di Amministrazione.
Le nuove disposizioni statutarie si applicheranno, di norma, dal 1° gennaio 2015.

Alle fondazioni a rischio era riservato un finanziamento di lungo termine, a fronte del quale era imposta l’implementazione di un piano triennale destinato a riequilibrare la situazione. Secondo la consuetudine italiana, il Ministero per i beni e le attività culturali (e per il turismo), nel novembre 2013, nomina un Commissario Straordinario del Governo per il risanamento delle gestioni e il rilancio delle attività delle Fondazioni lirico-sinfoniche, l’ingegner Pinelli, poi sostituito, il 4 aprile 2016, dall’avvocato Gianluca Sole, tuttora in carica in virtù di proroghe successive.

L’intervento doveva risollevare la lirica italiana entro la fine del 2016; invece ancora oggi (e, appunto, dal 2013) il Governo paga degli specialisti per raddrizzare la situazione, sempre con incarichi annuali, a volte confermati, a volte no.

Il Commissario ogni anno fa due relazioni semestrali sullo stato dell’arte, per monitorare l’intervento; l’ultima disponibile fotografa questa situazione:

Per leggerla è utile partire dalla prima relazione, quella del 2015, in particolare dalla tabella che racconta quanto si è erogato ai singoli enti per evitarne il collasso finanziario:

Fonte: https://bit.ly/36TCBZc

Manca l’Arena di Verona, che ha chiesto successivamente l’intervento pubblico, a seguito del commissariamento del 2016, ed ha ottenuto 10 milioni di euro, come si evince dal dettaglio di tutti i contributi ai sensi della legge 112/2013, alcuni successivamente integrati con altre dazioni.

Sono finanziamenti, e in quanto tali andrebbero restituiti, in trent’anni; il meccanismo non è chiarissimo, ma evidentemente non solo nessuno ha ancora restituito nulla a fine 2018, ma si stanno accumulando gli interessi dovuti allo Stato (lo desumo confrontando il debito rilevato nella tabella 2018 con le colonne verdi e il dato su Verona recuperato sul sito del Ministero).

Lo Stato è paziente, e in alcuni casi l’intervento governativo pare aver giovato (lo dice il Commissario Sole nella sua ultima relazione): significa comunque che le Fondazioni liriche, commissariate o meno, avevano (nel 2018) 400 milioni di debiti e stanno in piedi grazie a contributi pubblici per almeno 200 milioni di euro all’anno (è una stima, non ho avuto la forza di aprire tutti i bilanci uno per uno). La tabella sopra riportata alla voce “ricavi” comprende infatti i contributi, quelli per lo più erogati dallo Stato attraverso il Fondo Unico per lo Spettacolo (il mitico FUS).

Il Commissario chiude la sua ultima relazione, senza ovviamente poter prevedere nulla di COVID-19 e del disastro imminente, dando le seguenti indicazioni operative, ovvero raccomandando di:

Tutte cose di buon senso, forse potrebbe sembrare strano che vengano ribadite dopo 7 anni di commissariamento. In particolare, essendo una materia che ho un po’ frequentato, fa specie che si debba richiamare la necessità di adeguati sistemi di “controllo di gestione” e che si debba sottolineare come sia necessario costruire delle produzioni sostenibili: lo ripeto, senza contributi pubblici forse in Italia potrebbe reggere solo La Scala di Milano, e quindi comprendo che non si pretende una reale autonomia economica, ma darei per scontato che non siano sistematicamente ignorate tutte le implicazioni economico-finanziarie delle scelte “artistiche”.

E IL REGIO?

Nel 2013, come detto, 8 enti lirici, poi diventati 10 nel 2016 con il commissariamento dell’Arena di Verona e Cagliari, chiedono allo Stato di intervenire; il Regio di Torino, come la Scala, la Fenice, Santa Cecilia, no. Va detto che le altre tre Fondazioni godono di uno status privilegiato: senza entrare troppo nel merito, godono di contributi triennali che permettono una migliore pianificazione.

Il Regio comunque stava nella colonna dei buoni, anche se aveva affrontato anni complicati, soprattutto a seguito della perdita superiore ai 4 milioni di euro registrata nel 2010. Che cosa era successo? Lo spiegava così l’allora Sovrintendente Vergnano, illustrando il bilancio 2010:

Le ragioni di tale risultato (ndr: una perdita superiore a 4 milioni di euro) sono da ricercare unicamente nel calo dei contributi pubblici sia per l’attività istituzionale sia per la tournée che, in corso di esercizio, sono stati fortemente ridotti, ove non annullati, rispetto alle somme che erano state confermate prima di redigere il bilancio preventivo.
In particolare si sono avute riduzioni di 2,46 milioni di Euro da parte del Ministero per i Beni e Attività Culturali, di 800 mila Euro dalla Regione Piemonte e di 940 mila Euro dal Comune di Torino. A queste si aggiungono 850 mila Euro di mancate contribuzioni previste per la tournée (500 mila da parte
del Comune di Torino e 350 mila da parte della Regione Piemonte). In Totale 5,050 milioni di Euro in meno rispetto al preventivo approvato.

In sintesi, si era messa in moto una macchina che costava circa 41 milioni di euro, e che contava su 29 milioni di contributi pubblici; alla fine, sono mancati 3,8 milioni di contributi, e in totale 5,1 milioni di ricavi, e la macchina è riuscita a risparmiare solo 0,7 milioni.

Fonte: Teatro Regio, Bilancio 2010

E allora nel 2011 che si fa? Si riducono i costi, si tara meglio la macchina e si ritorna al pareggio.

Fonte: Teatro Regio, bilancio 2011

I costi non superano i ricavi, ma tocca sistemare il buco patrimoniale del 2010; approvando il bilancio consuntivo 2011, l’allora Sovrintendente Vergnano spiega che

La Fondazione inoltre,con il conferimento da parte della Città di Torino di diritti immobiliari per € 9.650.000, deliberato nel 2011 e perfezionato nel 2012, ha potuto annullare completamente l’elemento negativo del patrimonio netto che si era creato con la perdita di esercizio realizzata nel 2010 pari a € 4.078.138. Gli effetti negativi dei tagli avvenuti nel 2010 sono pertanto superati almeno dal punto di vista del patrimonio e del bilancio.
Restano da risolvere e sono in corso di soluzione le criticità derivanti dalla situazione di cassa conseguente alla perdita del 2010 e ad altri elementi intervenuti nel 2011.

Perché “la cassa è cassa”, come direbbe il noto Ingegnere nazionale; e quindi l’operazione contabile migliorava nominalmente il patrimonio del valore dei beni conferiti, ma quei 4 milioni, anche se sistemati con un’operazione contabile, rimanevano un problema, appesantito ogni anno dagli interessi pagati alle banche. Vediamo il 2012?

Fonte: Teatro regio, bilancio 2012

Questa volta si sa che i contributi pubblici faticheranno, e ci si adegua per tempo; di nuovo pareggio, rimane il problema del debito. Anche perché gli enti pubblici non pagano “a vista”: viene spiegato bene nella Nota Integrativa del bilancio, al punto D.4) “Debiti verso banche”:

Il saldo passivo complessivo nei confronti dei tre istituti di credito con cui ha rapporto la Fondazione ammonta a € 16.349.120 ed è dovuto all’esposizione che si rende indispensabile a causa dei tempi di deliberazione dei contributi da parte degli Enti Pubblici e dei ritardi nell’incasso dei medesimi, nonché dalla situazione finanziaria determinatasi nel 2011 a seguito di un apporto al Patrimonio di elevata entità avente carattere non finanziario. Si rileva che l’esposizione bancaria è sensibilmente aumentata rispetto all’anno precedente in cui era pari a € 11.611.236 anche a causa di una anticipazione bancaria resasi necessaria per il pagamento di lavori di manutenzione straordinaria all’immobile del Teatro Regio nelle more del pagamento dei fondi da parte della Città.

La stessa cosa nel 2013:

Il saldo passivo complessivo nei confronti dei tre istituti di credito con cui ha rapporto la Fondazione ammonta a Euro 18.384.639 ed è dovuto all’esposizione che si rende indispensabile a causa dei tempi di deliberazione dei contributi da parte degli Enti Pubblici e dei ritardi nell’incasso dei medesimi, nonché dalla situazione finanziaria determinatasi nel 2011 a seguito di un apporto al patrimonio di elevata entità avente carattere non finanziario. Si rileva che l’esposizione bancaria è aumentata di Euro 2.035.519 rispetto all’anno precedente a seguito di un maggiore utilizzo delle linee di credito ottenute.

I crediti del Teatro Regio, nel 2013, erano fatti così:

La situazione non era brillante, ma non esistevano i presupposti per andare al commissariamento; e forse (ma non lo so) era impossibile chiedere di sostituire l’esposizione debitoria standard (che generava 0,5 milioni di interessi all’anno) con una “paziente” linea statale trentennale, analoga a quella richiesta da altri 9 enti lirici.

Per non annoiarci, stabilito che nel frattempo gli anni passano e cambia poco o nulla, andiamo all’ultimo bilancio disponibile, quello del 2018; il conto economico si presentava così:

I crediti erano questi:

Ma il solito commento ai debiti recitava:

Il saldo passivo complessivo nei confronti dei due istituti di credito con cui ha rapporto la Fondazione ammonta a Euro 11.711.434 ed è dovuto all’esposizione che si rende indispensabile a causa dei tempi di pagamento dei contributi da parte degli Enti Pubblici nonché dalla situazione finanziaria determinatasi a partire dal 2011 a seguito di apporti al patrimonio di elevata entità avente carattere non finanziario. Si rileva che l’esposizione bancaria complessiva rispetto all’anno precedente è diminuita di Euro 6.220.860 ed è costituita principalmente da scoperti di conto corrente per circa 11 milioni.

Dopo otto anni, ancora il buco del 2011; però l’esposizione bancaria è diminuita, grazie alla diminuzione dei crediti, quindi dove sta il problema?

Ad occhio sta qui, il credito residuo andrebbe usato per fornitori e Stato, le banche chiedono un rientro e in tutto questo è arrivata la pandemia.

E QUINDI?

Quando si chiudono 9 bilanci in pareggio, di pochi euro, o si è stati estremamente precisi o, come è successo strutturalmente, ad un certo punto della stagione si facevano i conti e si stabiliva quanto mancasse; il sindaco chiamava in aiuto le fondazioni bancarie, o qualche altro privato, e si facevano quadrare i bilanci con contribuzioni suppletive. Non è gossip da retrobottega, ma il motivo per cui nel luglio 2018 Compagnia di San Paolo e Fondazione CRT, le due fondazioni torinesi ripetutamente chiamate in soccorso del Teatro, hanno commissionato ad una società di consulenza un Piano di Sviluppo, approvato formalmente nel gennaio 2019.

L’idea era quella di prendere il toro per le corna e di investire 14 milioni di euro (chiesti al Ministero) per dare una qualche speranza al Teatro. In sintesi, ristrutturando tutta la macchina scenica, cambiando radicalmente l’organizzazione, dotandosi di un controllo di gestione efficace e di una governance strutturata, aumentando sensibilmente la quota dei ricavi non legata alla contribuzione pubblica o privata.

Ovviamente la pandemia ha cambiato tutte le carte in tavola, ma i punti fermi del Piano rimangono inattaccabili: non si può gestire un organismo così complesso senza innovare, senza competenze giuste, senza intervenire in abitudini consolidatesi nel tempo senza alcun motivo o, peggio, per motivi che non sono presentabili (e non mi riferisco alle indagini in corso, è una constatazione oggettiva che le precede).

Il problema è cronico, storico e generalizzato, e non si risolve con la bega politica del momento. Non è interessante stabilire la colpa di Fassino o di Appendino, e neppure la modalità tecnica che si sceglie per mettere una pezza: avendo studiato un po’ mi sembra che si confidi nel commissariamento per sollecitare l’intervento ministeriale, così da affrontare il problema del debito e risolvere la crisi temporaneamente, magari per trasformarla in una medaglia pre-elettorale.

Temporaneamente. Perché per risolverla strutturalmente serve ben altro.

IL FUTURO?

Il Teatro Regio nel 2010 costava 40 milioni, incassando da spettacoli e poco altro poco meno di 7,5 milioni, tutto il resto erano contributi pubblici e, in minima parte, privati.

Nel 2018 il Teatro Regio è costato 36,5 milioni ed ha incassato da spettacoli e altro circa 9,5 milioni; nel frattempo i contributi pubblici sono però diminuiti, ed i privati che, come detto, hanno compensato negli ultimi anni, non sembrano più nella condizione di farlo.

Lo Stato è in ovvia ed evidente difficoltà, perché ha cento priorità prima della ristrutturazione di un Teatro Lirico; il Regio nella stagione 2017/2018 ha registrato 9.000 abbonati, l’impatto vero sul territorio è inesistente, non c’è turismo nè altro che possa trarre un beneficio dalla frequentazione di un pubblico abbastanza anziano e tutto locale. In una stagione con 150 spettacoli vengono registrati 167.000 ingressi, 60.000 effettuati dai suddetti 9.000 abbonati: tecnicamente, stiamo discutendo di una élite.

I numeri della Scala a Milano, a 40 minuti di treno veloce, sono un po’ diversi: per tante e diverse ragioni, ma restano sostanzialmente diversi:

Fonte: Corriere della Sera

Ovviamente il confronto è sbagliato e impietoso, ma occorre farlo; e non per stabilire freddamente che non ci sono margini: è stato fatto un lavoro già citato che in 200 pagine disegna un’ipotesi percorribile. Il problema è passare dalle chiacchiere ai fatti, trovare le persone giuste, ovvero un gestore vero che si occupi dei conti, un controllo di gestione, qualcuno che abbia un’idea compiuta dell’utilizzo del digitale nel 2020, a maggior ragione adesso che qualsiasi teatro fa i conti con le nuove regole sanitarie.

Bisogna togliere la ruggine, e fare un classico esercizio di verifica e controllo: ci sono fornitori che da quindici anni fanno la stessa cosa? si possono rendere le cose più efficienti? il personale (che rappresenta circa il 60% dei costi) può essere messo nella condizione di contribuire ad una vera crescita? la politica può affrontare la questione senza retorica?

Se qualcuno ha rubato, venga cacciato; non è difficile capirlo, è più complicato dimostrarlo, ma il punto non è questo: il punto è, se domani devo costare 30 milioni e fatturarne almeno 15 prima di bussare alle casse pubbliche, come si fa?

Esiste anche la possibilità che una risposta non si riesca a trovare, va finalmente detto con chiarezza: forse non possiamo più permetterci 14 enti lirici, sicuramente non senza un deciso cambio di passo di tutti gli attori coinvolti, dalla politica ai cittadini. E forse è venuto il momento di concentrare risorse e attività su poche cose di alta qualità, di riconvertire gli spazi, di scegliere razionalmente. Non è più tempo per la retorica, lo Stato può sostenere anche di più la cultura, ma a patto che siano soldi spesi bene: non sarà facile essere oggettivi, ma ci si può provare.

CHIOSA

Io ho scritto e detto queste cose alle controparti che ho avuto a disposizione nel Teatro, ma si tratta di informazioni pubbliche, tutte rintracciabili online; da “fornitore” attivo da fine 2018 non ho ancora incassato un euro, semplicemente perché il Teatro Regio ha trascorso gli ultimi mesi in perenne emergenza (ha sostituito un Sovrintendente dopo un lungo stallo, ha interrotto bruscamente una stagione per l’emergenza sanitaria, non ha ancora inserito in organico nessuna delle professionalità individuate dal Piano di Sviluppo).

Io ho opinioni e idee che non scrivo, perché sono personali e si basano su conversazioni private; credo però che qualsiasi semplificazione sia inutile se non inopportuna, sono anni che si guarda la superficie senza entrare nel merito e andare in profondità.

Servono decisioni serie, pragmatismo e continuità: occorre stabilire quale debba essere, nei prossimi 10 anni, il ruolo di una istituzione culturale che voglia contribuire alla crescita del suo territorio, confrontarsi con la contemporaneità e darsi l’obiettivo, anno su anno, di attirare nuovi ricavi e nuovi sponsor, anche grazie al ruolo che le tecnologie possono svolgere.

Vorrei che tutti parlassimo di questo, alimentare polemiche senza offrire soluzioni è come dormire pensando che, come sempre, qualcuno ci metterà una pezza. Ogni osservazione, critica e correzione sarà benvenuta, purché nel merito della conversazione. Nessun dorma :)

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Paolo Giovine

È facile risolvere i problemi quando non sono i tuoi.