Torino 2030

Paolo Giovine
10 min readFeb 1, 2021

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Sono rientrato a Torino stabilmente nel 2013, dopo aver girovagato un po’ per l’Italia; me ne ero andato che i Murazzi si militarizzavano, sono tornato che non c’erano più.

Nel frattempo sono invecchiato e sono anche diventato padre per ben tre volte; cosa che inevitabilmente costringe a proiettarsi nel futuro.

Uno dei primi amministratori che ho incontrato al mio ritorno in città mi ha detto: “a Torino le cose partono, e poi se ne perdono le tracce; a volte finiscono altrove, a volte scompaiono”. Ho visto molte vicende confermare questa affermazione, ma anche belle storie di rilancio e crescita, quasi sempre legate alla competenza di chi se ne è occupato e alla capacità di mettere in fila obiettivi, strumenti, risorse, modi e tempi.

Un manager intelligente e rude anni fa mi disse che il segreto del successo è “copiare quelli bravi, e, raramente, andare oltre”; in fondo studiare serve a quello, ad imparare dalle cose che hanno funzionato, ed anche dagli errori altrui. Per andare oltre servono qualità eccezionali, e sono rarissime; da qualche tempo, peraltro, anche il mondo imprenditoriale inizia a capire che “andare oltre” non significa più “fare un sacco di soldi fottendo l’universo mondo” ma “guadagnare il giusto rendendo il mondo migliore”. Una conversione dovuta all’evidente problema sistemico generato da una globalizzazione senza regole, che ha prodotto enormi sperequazioni e reso fragile l’equilibrio ambientale: in sintesi, anche se sei un multimiliardario, o fai qualcosa o ad un certo punto perderai tutto. Qualcuno vuole scappare su Marte, io tendo a fidarmi di chi consiglia di mettere in ordine le idee e non scommettere, almeno nel breve periodo, sul sogno infantile del razzo salvifico.

Nel settembre 2015 le Nazioni Unite hanno adottato delle “linee guida per trasformare il nostro mondo”, articolate su 17 obiettivi da realizzare entro il 2030 (i Sustainable Development Goals, di seguito SDG2030): un gruppo di persone competenti ha cercato di costruire un quadro di riferimento globale, per indirizzare le scelte di chi prende delle decisioni, dal semplice cittadino al Presidente degli Stati Uniti.

Da allora chiunque abbia una responsabilità di governo dovrebbe guardare agli SDG2030 e misurare così le proprie azioni, cercando di proiettarne gli effetti nel lungo periodo; cosa non banale per politici abituati a promettere follie e non sacrifici, manager con le stock option da incassare a breve, persone abituate a subordinare il bene pubblico al tornaconto personale. Un cambio di paradigma epocale, che ha bisogno di uno sforzo collettivo, di una crescita culturale e sociale, di una diffusa capacità di mettere in discussione il sistema consolidato: facendo proposte nuove e costruttive, migliorando le cose che ci sono per farle funzionare meglio.

Qualche mese fa un altro amministratore, il più giovane dei tre qui citati, mi ha detto che “gli sforzi dal basso servono a poco” e che “solo un cambiamento top down permetterà di realizzare l’agenda 2030”; ovviamente nulla migliora se un governo o una amministrazione locale prendono decisioni sbagliate, non investono in educazione e sanità, non attuano vere politiche perequative. Però, ho replicato, se chi vota avesse gli strumenti per condividere un progetto, per partecipare attivamente, per collocare le cose nella giusta prospettiva, allora chi appartiene all’élite che governa il sistema sarebbe costretto a tenerne conto; e forse, sentendosi in qualche modo “misurabile”, eviterebbe ogni autoreferenzialità e si preoccuperebbe, davvero, del “bene comune”.

Poi è arrivata la pandemia, con tutto il suo carico di dolore. Ma rappresenta forse anche l’opportunità per mettere in discussione le cose, per cercare di riprendere in mano alcune deleghe, spesso in bianco, e provare a ragionare davvero insieme sul nostro futuro.

Il 65% degli SDG2030 non possono essere realizzati senza il coinvolgimento degli attori locali, ovvero città e cittadini. L’idea di “Torino2030” è quella di costruire uno spazio, all’inizio virtuale, dove favorire questo coinvolgimento e disegnare una prospettiva “sostenibile” per la nostra città: chiedendo aiuto a chi ha le competenze e cercando di articolarle in un percorso. Uno spazio di impegno civico, gestito da cittadini che dedicano un po’ del proprio tempo a questa cosa.

Quello che ci permetterà, al più tardi nel 2030, di essere più felici e spensierati.

Il progetto: una sintesi utile.

In questi anni molte persone capaci hanno cercato di mettere insieme le idee e provare ad orientare le decisioni che contano, a qualsiasi livello; sarebbe utile fare una sintesi, fissare un calendario operativo, individuare le risorse necessarie (soldi e persone) e verificare l’impatto atteso.

Nessun cittadino normale ha modo di leggere tutto e sapere tutto; abbiamo una visione parziale, spesso orientata dalle nostre attitudini (io mi occupo più facilmente di tecnologia che di agricoltura), ma comunque votiamo persone che prendono decisioni per noi su ogni argomento. Sarebbe utile farci un’idea meno vaga, ragionare sulle implicazioni di una scelta (cambiamo il piano regolatore? realizziamo un parco fluviale nuovo? orientiamo la città all’intelligenza artificiale?), insomma fare la fatica di mettere in fila le opzioni per poi scegliere: dove destinare i soldi che ci sono, dove cercarne altri, quali risultati perseguire e in quanto tempo, che cosa occorre posticipare o cassare.

Ad esempio, io vorrei che qualcuno bravo mi aiutasse a leggere il “bilancio consolidato” della nostra città, così da capire quale siano le possibilità di miglioramento e quali gli interventi necessari, e poi discutere delle competenze necessarie per far tornare i conti.

Il bilancio consolidato è il documento che descrive tutte le attività economiche che fanno capo alla Città di Torino, e nel 2019 chiude con un disavanzo di mezzo miliardo di euro; queste notizie sono sempre affogate nei tecnicismi, ma poi diventano oggetto di campagna elettorale. Solo in questi ultimi giorni ho letto che la città è “tecnicamente fallita”, anche se la sindaca Appendino “ha tenuto in ordine i conti”. E allora sarebbe bello cercare di partire da qui, magari anche mettendo in relazione questo bilancio con quello della Città Metropolitana, che avrà pur qualche relazione con quello della “città” cui si riferisce.

Leggere un bilancio serve a farsi delle domande, ad esempio sui crediti (se siano o meno esigibili), sui debiti (se possono essere rinegoziati), sul patrimonio (se possa o debba essere o meno oggetto di smobilizzazione): se hai due alloggi e hai bisogno di soldi, forse cerchi di venderne almeno uno; ma se governi dei beni pubblici, forse è meglio preservarli per chi viene dopo.

Ovviamente tutte queste informazioni sono disponibili da qualche parte; la Città ha cercato di renderle più chiare pubblicando, in collaborazione con l’Università, un “bilancio pop”, che ha però una propensione all’autocelebrazione che ne vanifica un po’ le premesse; e, non so perché, commenta i dati del 2018.

Si trovano comunque, in ordine sparso, delle informazioni interessanti: ad esempio, i dipendenti “consolidati” sono passati da 15.876 a 17.535 tra il 2017 e il 2018 (non c’è, come detto, il 2019); allora mi chiedo, ad esempio, se sia un bene o un male che i dipendenti crescano così tanto, se poi si registra il disavanzo sopra ricordato. Vengono poi forniti tantissimi altri dati, ma sempre un po’ disordinatamente, come se si scambiasse la trasparenza con la proliferazione delle tabelle: così si demotiva il lettore e si allontana la comprensione dei problemi. Però, forse, può essere un inizio.

L’unica analisi strutturata l’ho trovata sul sito https://volerelaluna.it/: non è molto incoraggiante ma propone delle soluzioni e meriterebbe una discussione seria, sempre nell’ottica di comprendere meglio. Immagino che altri se ne siano occupati, ma non ho avuto fortuna con Google.

Altro esempio obbligato, il “piano regolatore”: la lettura, un po’ complessa per me, di Vaio-Bertuglia, “Il fenomeno urbano e la complessità”, e di Radicioni-Borlera, “Torino invisibile”, mi ha fatto capire come la traiettoria della sinistra torinese, che ha governato prima dell’avvento dei pentastellati, sia stata sensibilmente modificata dalla svolta sul piano regolatore, ovvero dalla vittoria di Valentino Castellani su Diego Novelli nel 1993. Gli autori concordano sull’avvenuto abbandono delle periferie a favore della cosiddetta “area ZTL”, quella che, non a caso, negli ultimi anni ha mantenuto una connotazione di centro-sinistra, mentre le periferie si spostavano verso i pentastellati, quando non a destra.

Oggi si sta nuovamente discutendo di come si debba sviluppare Torino, esistono un sito ad hoc e alcune considerazioni sparse: anche in questo caso mi sembra fondamentale rendere la conversazione accessibile a tutti, perché negli anni si è spesso tradotta in “qui costruiamo, qui facciamo un supermercato, qui miglioriamo il verde pubblico”, tutto fuori contesto. Sarebbe utile superare le considerazioni critiche sull’evoluzione di interventi come l’interramento della ferrovia, o sulla necessità di fare cassa con gli oneri di urbanizzazione (ovvero i soldi versati dai costruttori) con impatti sociali non sempre brillanti; occorre immaginare la città nella sua evoluzione, progettare l’inclusione dei nuovi italiani, scongiurare la gentrificazione, ripensare il trasporto pubblico e ridare spazi alla cultura e alla musica (che tanto ci manca).

Ho fatto due esempi, ne posso fare molti altri come detto prima, gli obiettivi globali sono 169!

In generale, lo ribadisco, l’esigenza è quella di mettere insieme un percorso; ovviamente esistono ottimi ricercatori che fanno questo mestiere (penso al Rapporto Rota, a Ires, ad Atlas Torino, a Politecnico e Università), ma sembra ancora insufficiente lo sforzo fatto per coinvolgere in un dibattito vero i cittadini, che forse vengono raggiunti dal titolo enfatico sulla crisi demografica della Città ma fanno poi fatica a comprenderne le vere ragioni.

In questo ultimo anno, in tutto il mondo, molti si sono occupati di costruire modelli di riferimento, ispirati dagli SDG2030 ma calati in contesti locali: esistono luoghi deputati a farlo, come, in Italia, Urban, peraltro presieduto da un ex sindaco di Torino, e Asvis, che produce un rapporto ad hoc sul percorso verso il 2030 dei singoli territori; sono state prodotte guide che accompagnano questi percorsi (segnalo in particolare questa della Commissione Europea); molte città nel mondo hanno iniziato a produrre delle “Autovalutazioni volontarie”, che raccontano il loro percorso verso il 2030 mettendo in fila esperienze e dati (consiglio quella di Bonn, rende bene l’idea).

Milano ha costruito un suo percorso verso il 2030, analogamente a quanto tentato da Torino, che ha prodotto un suo Piano d’azione per la Torino del Futuro; molti altri lavori vanno in questa direzione, ad esempio il Piano Strategico Metropolitano elaborato da un gruppo di lavoro coordinato dal Politecnico, che ha un dipartimento dedicato; ed anche il Documento Programmatico Pluriennale di Compagnia di San Paolo, tutto orientato agli SDG2030. Ci sono tanti tavoli aperti, da associazione private, da Fondazioni, da aspiranti sindaci. Spesso non così noti, come ad esempio questo ciclo di incontri promosso da Unito, forse un po’ penalizzato dal proliferare di appuntamenti online.

Però continua a mancare una consapevolezza diffusa di quali siano gli obiettivi, di come si possano raggiungere e di che cosa serva per farlo. Mancano pochi indicatori significativi che sostituiscano migliaia di informazioni, per lo più incomprensibili alle persone che non stanno nel perimetro del potere locale: sarà sempre complicato individuarli, se si antepongono sempre le visioni ai fatti, le opinioni ai dati.

Torino2030 potrebbe essere:

- un luogo (virtuale e diffuso, ma anche fisico quando si potrà) dove si cerca di definire non tanto un programma elettorale quanto un piano di azioni utili ad arrivare bene al 2030; un piano al servizio di chi prende le decisioni, che si adatta nel tempo; aperto a chi vuole proporre e a chi vuole verificare, ai giornalisti che aiutano a capire così come ai politici che cercano un confronto;

- la sede per trovare dei criteri per misurare: intanto noi stessi, poi le istituzioni e tutti quelli che dovranno governare una transizione sostenibile; uno strumento per registrare il work in progress, per alimentare il dibattito, per contribuire laddove si registrino rallentamenti o eventi imprevedibili.

Servono regole chiare: si arriva bene al 2030 se sappiamo quando si fanno le cose, come e con quali soldi; ad un certo punto le sovrastrutture svaniscono, e rimane un povero che non lo è più, uno studente che non interrompe gli studi, un anziano che non è solo; quindi si cerca di calarsi pragmaticamente nelle attività necessarie, le si descrive al miglior livello possibile; anche stabilendo che:

- non deve essere l’ennesima “piattaforma elettorale”, che è al servizio del potere di pochi: l’obiettivo è quello di favorire conoscenza e partecipazione. Non è più possibile delegare: perché le risorse scarseggiano e vanno usate con attenzione. Anche Dio userebbe un po’ di machine learning;

- un sito dove raccogliere le idee, ma in una forma che ne permetta la lettura a più livelli: dove si può vedere il “macro” (la fotografia del percorso con l’esito finale) ma anche il “micro”, ovvero le tappe che portano al traguardo;

- chi contribuisce ha una competenza dimostrabile, una capacità che mette a disposizione; ma è anche disposto alla discussione, e poi a collaborare con chi dimostra di avere argomenti altrettanto validi;

- chiunque abbia intenzione di partecipare attivamente alla politica, candidandosi, lo deve dichiarare, per meglio chiarire lo spirito della sua partecipazione;

Qualche esempio operativo, ripartendo da quanto detto;

- qualcuno spiega i conti di Città, semplice e metropolitana;

- un altro approfondisce le istanze del piano regolatore;

- si parte dalle cose che sono già state avviate e finanziate, o da quelle incluse nei tantissimi documenti sparsi (prima ho fatto una sintesi);

- si evidenziano per aree specifiche i problemi urgenti, vecchi e nuovi: cose ovvie come ambiente, salute, lavoro, scuola, sviluppo, innovazione; ho ascoltato e letto idee interessanti su turismo, musica, cultura;

- si portano esempi concreti e riapplicabili qui; non abbiamo il mare, rassegnamoci.

Ma: è vietato dire cose come “il lavoro deve essere un’ossessione” senza proporre un’azione che parta in fretta e sia declinata sui prossimi 10 anni. E sono ovviamente deprecate monorotaie e piste da sci sui tetti cittadini, se non corroborate da solide argomentazioni.

Infine, ed è la parte più difficile, si trova una sintesi, anche lasciando il campo aperto a diverse ipotesi; ma serve una sintesi, perché investire su tutto serve a poco, bisogna saper scegliere e per tempo (ci era arrivato anche Guccini, cinquant’anni fa).

Molti sono stanchi del rumore e dei dibattiti frammentati, perché si perde tempo, ed il tempo è sempre più prezioso; è faticoso affidare il giudizio a frammenti intercettati su internet o a conversazioni davvero troppo parziali, in ogni senso. Chi ci governa va giudicato su obiettivi precisi, chi scegliamo per governarci o per gestire “beni comuni” deve essere in grado di rispettare le priorità collettive, senza improvvisare o seguire la moda del momento.

Se un progetto funziona è perché sopravvive a chi lo ha promosso; io sogno questo, che in tanti si facciano carico di queste cose, che diventino ovvie, che si trovi il modello giusto, con pesi e contrappesi, e che io possa scomparire in fretta; anzi, io sogno che qualcuno mi dimostri che c’è già tutto, che ero distratto, che sono un presuntuoso e, soprattutto, un incompetente.

Nel caso, con il mio sorriso migliore, dirò a tutti: “mi sono sbagliato”, e troverò pace.

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Paolo Giovine

È facile risolvere i problemi quando non sono i tuoi.